MOSCOW MULE: un cocktail straordinario a base di vodka, visual hammer e marketing
In questo post:
Moscow mule | Mug in rame | Visual Hammer | Verbal Nail | Battle cry | Vodka & Ginger Beer | John G. Martin e Jack Morgan | Al e Laura Ries
Tempo di lettura: 15′ | A cura di Aurelio Bauckneht
Strano a dirsi, dietro ai cocktail più famosi del mondo spesso si celano storie incredibili. Piccoli e grandi spaccati di vita, tra genio e sregolatezza, tra arte e imprenditoria, al servizio degli amanti del bere miscelato, una passione che da sempre accomuna grandi leader e persone comuni, gentlemen e diseredati, esperti degustatori e giovani alle prime armi. Dai rinomati aneddoti su Winston Churchill ai vizi della Regina Elisabetta, fino alle avventure di Cipriani… potremmo dilungarci per ore sul tema, ma visto che qui parliamo esclusivamente di marketing per l’agroalimentare, puntiamo subito ad occidente, direzione MOSCOW MULE. Già ovest e non est, nulla a che fare con Mosca. La nostra storia si svolge infatti a Los Angeles e contiene, come avrete capito, un condensato di cultura aziendale e marketing, perfettamente miscelati. Neanche a dirlo, questa è una storia di successo da cui è possibile imparare molto.
MOSCOW MULE: LA GENESI

Le grandi idee, spesso e volentieri, nascono dallo sconforto. Quanti imprenditori, sportivi, guerrieri ed artisti sono riusciti ad emergere da qualche cul-de-sac arrivando ad un inaspettato successo? Ed è proprio questo il primo ingrediente del cocktail MOSCOW MULE, il “mulo di Mosca”, inventato nel 1941 da John G. Martin e Jack Morgan; una scommessa corroborata da un certo grado alcolico che aveva un po’ il sapore di un ultimo tiro di dadi, di un’ultima puntata prima del fallimento.
Martin e Morgan erano due imprenditori al verde; il primo in grosse difficoltà con la distribuzione di un prodotto russo, la vodka Smirnoff, azienda all’epoca sconosciuta da cui aveva appena comprato i diritti di commercializzazione in esclusiva, mossa rischiosa visto il generale clima anti-sovietico che attraversava il Paese… e il secondo, titolare di un noto locale di Hollywood, il Cock’n Bull (frequentato abitualmente dal jet set cinematografico), da poco scottato dal fallimentare lancio di una bibita, una cosiddetta ginger beer, una sorta di acqua tonica a base di zenzero (soft drink ancora oggi poco noto in Italia).
In una serata al Cock’n Bull spesa ad un tavolo tra un bicchiere e l’altro, all’insegna delle recriminazioni e dei rimpianti, ai due venne un colpo di genio: miscelare i loro fallimenti, vodka e ginger beer. Aggiunsero un po’ di lime… e bum! Ecco pronto il cocktail esplosivo e sorprendente che oggi tutti conosciamo. Ma, attenzione, manca ancora un ingrediente per completare il capolavoro…
UNA MUG DI RAME

Un breve accenno alla tazza di rame che ha dato a questo cocktail una veste a dir poco memorabile. Ebbene, la leggenda vuole che nel corso della serata al Cock’n Bull, si unì a questa simpatica combriccola un’imprenditrice russa, Sophie Berezinski, alla disperata ricerca di clienti per supportare l’azienda del padre (Moscow Copper); obiettivo numero uno, smaltire uno stock invenduto di 2.000 mug di rame con inciso sopra un asinello. E fu amore a prima vista. Effettivamente al cocktail mancavano proprio un naming e un packaging distintivo. Tra vodka russa e la decorazione della mug, possiamo immaginare che non ci volle molto per coniare il brand Moscow Mule… del resto, come dicevano Martin e Morgan, quel cocktail grazie allo zenzero arrivava proprio dritto in gola “a scalciare come un mulo”.
E la tazza in rame? Perché no? Serviva qualcosa di facilmente riconoscibile come una bottiglietta Campari e singolare come un calice da martini cocktail. Insomma, la mug piacque e funzionò, alla grande. Ma non fu solo questione d’opportunità o di istinto markettaro. Il rame, ottimo conduttore, garantisce un veloce raffreddamento. Pare inoltre che rame e lime riescano a sprigionare assieme qualcosa di speciale.
Tutto combaciò alla perfezione: in quella magica serata, al cocktail Moscow Mule si miscelò del destino con la robustezza di una grande perseveranza, aromatizzata con una buona dose di ingegno e coraggio imprenditoriale.
LA STORIA TRAVAGLIATA DI UN NAMING DI SUCCESSO
In una prima fase, John G. Martin e Jack Morgan decisero di mettere da parte il nome Moscow Mule a favore di Vodka Buck, naming più referenziale e “banale”, legato alla categoria di riferimento: i buck cocktail, cioè ricette a base di Ginger Ale o Ginger Beer (“buck” è la sgroppata del cavallo, riferimento – anche in questo caso – al sapore caratterizzante dello zenzero). Vodka Buck non aveva però la forza di penetrare l’immaginario, a fronte di un prodotto che invece guadagnava sempre più consensi tra le due coste degli States. Arriviamo quindi agli anni ’50 e alla decisione di ritornare al nome originale e alla valorizzazione della tazza di rame. Parallelamente Smirnoff iniziò a proporre una versione semplificata del cocktail, dal taglio più consumer/gdo, denominato Smirnoff Mule; la ginger-beer lascia il passo alla bibita 7-up (ve la ricordate?), mantenendo però il lime. Advertising a supporto, testimonial di livello come Woody Allen e il resto è… storia.

RICETTA UFFICIALE
Prima di passare al marketing, una nota veloce sulla ricetta ufficiale dell’IBA (International Bartenders Association):
– Vodka (4,5 cl)
– Ginger Beer (12 cl)
– Succo di lime fresco (0,5 cl)
– 1 fetta di lime per la guarnizione
Procedura: riempire la mug in rame con del ghiaccio, aggiungere la vodka e solo dopo la ginger beer, completare con il succo spremuto e guarnire con una sottile fetta di lime. Molto semplice e di facile realizzazione, anche a casa. Tra l’altro, nel caso vi sia passato un pensierino per la testa… su Amazon abbondano i kit con le mug in rame… Per quanto riguarda le varianti ufficiali e non (gin, cetriolo ecc.), sono tutte facilmente reperibili sul web.
VISUAL HAMMER E VERBAL NAIL

La mug di rame e l’insieme di questa splendida storia ci hanno immediatamente riportato al verbo, cioè ad Al e Laura Ries. Il marketing e a seguire il packaging design non consistono semplicisticamente nel fare “cose carine”. Per quanto la catena di comando di molte aziende con una mentalità “non marketing first” tenda sempre a ridurre la scelta ad un “mi piace – non mi piace”, posizionando il pensiero strategico dietro l’ultima ruota del carro, cioè tra quelle di scorta, le coordinate cartesiane di Laura Ries rimangono sempre inattaccabili, in primis il rinomato “Visual Hammer: nail your brand into the mind with the emotional power of a visual”.
Il martello visivo è un concetto che tutti, da consumatori, abbiamo ben assimilato a livello inconscio: dalla silhouette della bottiglietta Coca Cola ai furgoni rossi Bartolini, il valore della forma visuale che caratterizza il brand (in prima battuta il logo e i suoi “contenitori”, ma non solo) è enorme e travalica l’aspetto meramente funzionale; il Visual Hammer è l’elemento iconico che caratterizza e rende memorabile la marca, facilitando il posizionamento nell’immaginario del consumatore.
Inutile dire che nel comparto agrifood e in particolare per chi finisce sullo scaffale della gdo, tutto ciò è di primaria importanza. La dialettica tra il prodotto, il brand e la sua confezione, cioè il modo con cui viene presentato, è alla base del brand positioning. Senza spostarci dal segmento spirits, pensiamo alla vodka Absolut o al gin Bombay Sapphire; quanto del loro successo è riconducibile al Visual Hammer?
Ma per assimilare bene il concetto di Visual Hammer e non solo, proviamo a vedere come potrebbe essere declinato oggi il progetto Moscow Mule secondo la mappa concettuale proposta da Al Ries, mixando le esigenze di Cock’n Bull, di Smirnoff e ovviamente quelle del cocktail che si contraddistingue, giustamente, con un brand a se stante. Una forzatura meramente speculativa, per carità… ma utilissima per comprendere come sia i piccoli o grandi bar, sia le marche delle aziende più strutturate, debbano necessariamente differenziarsi, comunicando specializzazioni e creando sub-brand focalizzati.
1. Focus: i long drink del Cock’n Bull per gli amanti del bere miscelato sono realizzati con ricette e ingredienti completamente diversi dai soliti drink di tendenza (basati su whisky, gin e vermut)
2. Categoria: long drink / buck cocktail con vodka (siamo negli Stai Uniti del ’41 e la vodka è una novità d’importazione, pronta a battagliare con whisky e gin…); Moscow Mule apre effettivamente una nuova categoria…
3. Verbal nail: Moscow Mule, il “primo” buck cocktail a base vodka
4. Visual Hammer: mug in rame dall’effetto rinfrescante con inciso un asinello, unica nel suo genere e novità assoluta nel mondo cocktail
5. Battle cry: in gola scalcia come un mulo
(nda: per i concetti di “verbal nail” e “battle cry” rimandiamo ai prossimi articoli)
Sembra semplice, ma le aziende e i prodotti che riescono a mettere in fila tutto ciò con una coerenza così sistematica e ficcante, sono rari. Il frutto è ovviamente l’autenticità, la distintività, l’originalità che il brand dona al consumatore, unitamente alla bontà del prodotto. Pensate se avessero scelto un calice da martini cocktail, sfidando i miscelati a base vermut nel loro stesso territorio…
Ecco quindi quali sono le carte in regola del Moscow Mule, cocktail che ha permesso il successo di Smirnoff negli USA e che continua a dissetare gli appassionati del bere miscelato.
PS: a scanso di equivoci, sottolineiamo che il concetto di Visual Hammer non è riferito esclusivamente al pack. Il martello visivo può prendere corpo in vari modi: dal cavallino rampante Ferrari alla campitura verde di John Deere, fino al volto emblematico di KFC.
PS2: la storia del Cock’n Bull continua qui…