In Italia tutti creativi, ma nessun markettaro. Tranne uno.

In questo post:

Marketing vs Creatività | Buondì Motta | Saatchi&Saatchi | Frank Merenda | Melegatti e Valerio Scanu | Maurizio Cattelan | Meteore e meteoriti | Lawrence Ferlinghetti

Tempo di lettura: 10′ | A cura di Aurelio Bauckneht


 

Un frame del nuovo spot Buondì | Saatchi & Saatchi

Superata la sbornia meteoriti, a freddo facciamo due considerazioni. Come è noto, la maggioranza degli italiani vanta approfondite conoscenze nei campi dell’architettura, della strategia calcistica, dell’epidemiologia, della politica internazionale e infine della comunicazione d’impresa. Inutile dire che l’ultimo spot Buondì Motta ha esaltato al massimo livello l’expertise popolare in ambito pubblicitario e da più parti sono fioccate recensioni e commenti alla nuova iniziativa del Gruppo Bauli. In questo marasma, la nostra impressione è che sia il giudizio generale degli operatori del settore, sia quello dei tanti giornalisti generalisti che hanno affrontato la questione, risulti essere più che positivo, a discapito di una nutrita schiera di consumatori che tramite social ha avanzato numerose rimostranze, battagliando anche aspramente con quella parte della clientela che si è dichiarata entusiasta dello spot. Qui su FOA lasciamo da parte le polemiche e approfittiamo al volo di questo trending topic per parlare ancora una volta di marketing e comunicazione.

E’ stato a dir poco sorprendente constatare come tutti gli interventi in questione, soprattutto quelli degli operatori del settore, si siano focalizzati sull’idea creativa in sé, dimenticando quelli che in realtà dovrebbero essere i numi tutelari di ogni azione di comunicazione: il cliente e i suoi bisogni, il prodotto e il suo posizionamento, il brand e il suo brand equity. Si è visto insomma un fioccare di meteorite sì – meteorite no, ragazzina sì – ragazzina no, con una netta preponderanza dei sì (il sovvertimento degli stilemi tipici del food, in primis la famiglia perfetta, è piaciuto molto agli operatori, eccome se è piaciuto), ma – a conti fatti – non è emerso nulla di più approfondito. Unica voce fuori dal coro è stata quella di Frank Merenda che, rimanendo fedele alla sua filosofia di marketing molto referenziale e incentrato sui risultati, ha dedicato alla faccenda queste righe: 

“Mi sono reso conto che la maggior parte delle persone ancora non ha idea di cosa debba fare l’advertising per essere veramente efficace. […] L’advertising – e il marketing in generale – ha come scopo quello di spiegare in primis ai clienti perché dovrebbero comprare il tuo prodotto. A corollario, perché dovrebbero preferirlo rispetto a prodotti concorrenti (diretti o indiretti che siano), o al non fare niente. Più il brand è realmente noto e il suo posizionamento corretto, più l’advertising per un’azienda famosa è facile (e utile!). È il brand a fare tutto il lavoro. Lo scopo dell’advertising in televisione è (più che altro, dovrebbe essere) ribadire il posizionamento già presente nella testa dei consumatori. La “pubblicità creativa” non può – né potrà MAI – raggiungere uno scopo di utilità nei confronti dell’azienda che la commissiona a qualche agenzia. Perché? Perché al posto di fare ciò che dovrebbe, ovvero “rafforzare il posizionamento di un brand nella testa delle persone”, AL MASSIMO (e nella migliore delle ipotesi!) con un cortometraggio/spot autoreferenziale potrà “ricordare” che un determinato prodotto esiste. E “ricordare che esisti” è un sottoprodotto scadente e inefficace rispetto al vero scopo dell’advertising, che ripeto è: 1. Spiegare ai clienti perché dovrebbero comprare il tuo prodotto e preferirlo alla concorrenza (nel caso di un’azienda “nuova” o con un brand da costruire); 2. Rafforzare il posizionamento nella testa dei clienti, quando parliamo di un brand nazionale o internazionale già famoso e correttamente posizionato.”

Noi di FOA ci accodiamo al Merenda pensiero, non per criticare la creatività in sé, anzi, ma solo perché come sempre cerchiamo di rimanere ancorati a quella strana cosa chiamata marketing. E aggiungiamo: se l’expertise popolare riesce ad esprimere un altissimo numero di “comunicatori”, è chiaro che i markettari vanno cercati col lanternino. E Merenda è certamente uno di questi.

Non è una novità che nella foga del “fare comunicazione”, attività sempre condita da scadenze impossibili e dai vertiginosi ritmi della quotidianità, nelle agenzie come negli uffici marketing più strutturati, spesso vengano saltati a piè pari tutti i passaggi che portano alla definizione di una strategia, cioè lo scheletro di ogni azione di comunicazione efficace. L’inversione mezzi / fini è sempre dietro l’angolo: il passaggio da “voglio incrementare le quote di mercato nel lungo periodo (e la comunicazione creativa può essere un mezzo per raggiungere questo obiettivo o anche no)” a “voglio un’idea creativa, giovane, che spacchi, dirompente” è sempre brevissimo. La creatività da mezzo si trasforma in fine e il risultato è che il marketing da risorsa si trasforma in costo. Le uniche figure preposte al contenimento di questa emorragia di pensiero sono l’imprenditore o il responsabile marketing, e dall’altra parte della barricata l’account director dell’agenzia sulle cui spalle grava il penoso compito di tenere ben legate le ali ai vari collaboratori immersi nel “flusso creativo”. La rotta è sempre nelle loro mani, ma a volte anche loro falliscono, innamorati di una idea capace di prendere il sopravvento sul pensiero strategico. 

In tutto questo, lo spot ha conquistato il plauso di numerosi operatori del settore ed esperti di comunicazione. Ma tutti, Merenda a parte, nel commentare lo spot hanno seguito esclusivamente la creatività, tralasciando quel tassello del puzzle chiamato posizionamento. E forse, aggiungiamo, anche quell’altro tassello, sì quello là in fondo, quello chiamato etica. Parliamo quindi del messaggio portante espresso esplicitamente dalla protagonista dello spot e da alcune diciture nella grafica finale: Buondì è un dolce goloso e leggero per la colazione. Questa è la promessa che Buondì fa al consumatore. Ma sta in piedi? Quali sono le reason why e le supporting evidence sui cui si basa questa affermazione? Ahinoi, ci sfuggono. Nessuna storia sulla genesi del prodotto, nessun dettaglio sulle origini delle materie prime, nessuna valutazione organolettica, nessuna certificazione significativa e soprattutto una lista degli ingredienti e una tabella nutrizionale appese al concetto di leggerezza come una grossa slavina ferma sulle radici di una esile stella alpina. Stiamo parlando infatti di un prodotto – nella sua formulazione base – composto per il 24% da zuccheri e per il 5% da grassi saturi. Ma almeno il tone of voice, quello sì che è chiaro! 

Il Buondì, una delle poche merendine realizzata ancora con olio di palma (contenente i famigerati grassi saturi), sembra tanto uno di quei prodotti di una volta. No, non di quella volta… quella dell’età dell’oro dell’artigianalità in cui tutto era buono e dolce. Ma piuttosto di quell’altra volta, quella volta dei famigerati anni ’80 in cui i prodotti altamente trasformati eccellevano con la pubblicità televisiva “creativa”. Ma siamo nel 2017. Posizionare il dolcissimo Buondì all’olio di palma come un dolcetto “leggero” (strizzata d’occhio salutista), con una idea creativa altamente impattante, tramite un mezzo obsoleto come la tv generalista, eh sì, ci ricorda proprio quegli anni ’80 di cui oggi, per fortuna, possiamo fare a meno. Come ci ha suggerito l’amico Alberto Butturini, manager della comunicazione, è un’operazione indubbiamente molto creativa per dare un po’ di futuro ad un pezzo di passato.

Possiamo pertanto utilizzare questo spot per isolare due idee di marketing diametralmente opposte, figlie di due epoche diverse:
focus su mass media / scarsa focalizzazione del e sul prodotto / alto tasso di creatività
vs
piano mezzi più articolato / alta focalizzazione sui contenuti e sulle reason why / ponderato uso della creatività abbinato ad un alto tasso di storytelling 

Ci piacerebbe credere che il prosumer informato di oggi, più attento ai trend salutistici, a confronto con il consumatore consumista degli anni ’80, sia maggioritario e più ricettivo alla seconda idea di marketing. L’andamento delle vendite future del Buondì potrà aiutarci a confermare questa idea o meno.

Certo ci piacerebbe sottoporre tre domande all’agenzia Saatchi&Saatchi:
– a livello copy strategy e copywriting non si poteva fare uno sforzo in più per definire e comunicare un posizionamento più adeguato a quello che è in realtà il Buondì (esempio: comfort food del mattino)?
– almeno nelle declinazioni digitali e social non si poteva raccontare un po’ di più il prodotto come risposta alle esigenze reali del consumatore?
– i consumatori del Buondì vanno veramente alla ricerca di leggerezza? E i consumatori della leggerezza vogliono veramente acquistare un Buondì o preferiscono del muesli o del pane con la marmellata?

E’ chiaro il paradosso? Il prodotto, in pratica, non esiste, e questo plus della leggerezza (concetto inevitabilmente salutista) non porta vantaggi né per il cliente abituale (che cerca un dolce gustoso, anche se grasso), né per il potenziale nuovo cliente. Il target della leggerezza gustosa infatti la mattina mangia frutta secca, miele e yogurt; non mangia merendine, non mangia prodotti altamente trasformati. Il risultato è pura confusione sommata ad una certa stonatura di carattere etico. Siamo assolutamente sicuri che il Buondì abbia tante buone argomentazioni e reason why, e che sul mercato ci siano prodotti ampiamente peggiorativi in termini salutistici, ma lo stesso questa allusione al benessere ci sembra sbagliata di per sé e controproducente a livello di posizionamento.

La nuova home page del sito www.buondi.it, dal layout similare agli schermi televisivi di una volta, un po’ bombati, da tubo catodico. Un caso?

Significativo infine il fatto che l’azienda sia passata da un sito web in cui venivano presentati tutti i dettagli del prodotto (tabella nutrizionale e ingredienti compresi), al nuovo sito, legato alla campagna, in cui sul prodotto in sé non viene spesa neanche una parola. C’è solo il meteorite: la promessa è il meteorite; la reason why è il meteorite; le supporting evidence sono il meteorite. La trasparenza etica è il meteorite. Amen. Quindi, in sintesi, la creatività (abbinata ad una affermazione dubbia, non comprovata: gusto+leggerezza) diventa l’unica vera leva di vendita. E’ una scelta… ma che non condividiamo. Il processo di acquisto del consumatore dovrebbe essere orientato da vantaggi reali (end benefit) per la soddisfazione di bisogni o piuttosto dal meteorite? E’ questo quello che cerca il prosumer di oggi al supermercato? O forse lo stiamo sopravvalutando e la realtà dei fatti è che domina ancora il consumatore e il consumismo televisivo degli anni ’80?

Noi di FOA avremmo preferito un posizionamento fatto di gusto e golosità, di morbidezza, di godibilissimo inzuppo nel caffellatte o altre modalità d’uso per la colazione. Definiremmo il Buondì, così paffuto anche nell’aspetto, come un comfort food del mattino, deliziosamente dolce e fieramente grasso; una bella coccola, calda e avvolgente, essenziale per iniziare bene la giornata. Avremmo lasciato la leggerezza ad altri competitor e ci saremmo tenuti il gusto del risveglio, magari un gusto coccolone che sa di buonumore. Tutto questo nella consapevolezza che i toni iperbolici e ironici, il sovvertimento di certi luoghi comuni del mondo food e quant’altro sono, di fronte al posizionamento strategico, questioni del tutto secondarie. Non è questo il tema; la creatività è solo un “di cui”. Parallelamente avremo messo sotto la lente di ingrandimento il prodotto, per migliorarlo a livello industriale, per renderlo veramente top nel suo segmento. 

Questa querelle (e non solo questa, pensiamo al recente caso Carpisa) ci ha fatto tornare alla memoria un articolo di Business Insider: L’era dei creativi è finita, il futuro della pubblicità dipende dai dati. E da Accenture. La creatività deve fare i conti con i numeri, con i numeri veri: non le visualizzazioni, non i like, ma l’incremento o il decremento delle quote di mercato. I like sono il nuovo due di coppe. Lo spot Buondì potrà essere definito ben fatto se e solo se aiuterà la vendita del prodotto nel lungo periodo e noi di FOA temiamo che non sarà così. Questo è il discrimine che premierà una filosofia di marketing o l’altra.

Il famoso pandoro di Melegatti frutto della collaborazione con Valerio Scanu

Per restare ancorati alla realtà e non ai creativi, con grande rammarico, ci tocca segnalare le difficoltà di Melegatti, storica azienda dolciaria in sofferenza, in crisi anche a causa di azioni di comunicazione difficili da comprendere (la nota collaborazione di Melegatti con la “meteora” Valerio Scanu ha oramai fatto scuola). Anche su questo tema si era speso Merenda con un articolo emblematico. Che sia il caso di lasciar perdere sia le meteore, sia i meteoriti? Ovviamente il nostro auspicio è che Melegatti ritorni ad essere un brand di riferimento nel settore il prima possibile. Forza Melegatti, forza Boundì: trovate il vostro posizionamento, trovate il vostro mercato, mettendo al primo posto le esigenze del consumatore e i plus di prodotto. 

La nona ora | Maurizio Cattelan | 1999

PS1: appunto finale sulla creatività… Va bene, lo hanno fatto tutti, lo facciamo anche noi. Andiamo al sodo. Piaciuto il meteorite? No. Quando parliamo di meteoriti, non possiamo fare a meno di pensare alla clamorosa installazione La nona ora di Maurizio Cattelan del 1999;  l’opera raffigura Papa Giovanni Paolo II a terra, colpito, indovinate un po’, da un meteorite. L’abbiamo rivista recentemente nella sigla della splendida serie tv di The Young Pope, firmata da Paolo Sorrentino. Certamente la pubblicità televisiva può avere a che fare con la bellezza, con il citazionismo e con un alto livello di concettualizzazione, ma non è certo il caso di questo spot. Per noi esploratori dell’immaginario, il meteorite è un topos sacro; se avessero optato per qualcosa di meno importante, lo spot ci sarebbe piaciuto di più. Vigorsol aveva fatto cadere in testa ad un cittadino un’automobile, tanto per fare un esempio, già nel lontano 1997. Ecco avremmo preferito altro, rispetto al meteorite. Avremmo preferito una saetta o qualunque altra cosa. Ma non il meteorite. Uhm, a dir la verità sconsigliamo anche le rane (Magnolia) e i motori di aerei (Donnie Darko).

PS2: appunto finale sulla ragazzina e sui genitori sogliolizzati dal meteorite… Piaciuti? Bà, francamente, avendo messo al mondo qualche figlio, preferiremmo vivere in una società in cui queste cose, almeno a livello pubblicitario, non siano né auspicabili, né necessarie. Come ben dimostra Cattelan, il sovvertimento degli stilemi, delle abitudini e dei luoghi comuni, riesce meglio ad altri “creativi”, ad altri settori. Tutto sommato, nella piena consapevolezza di andare controcorrente, il mondo ideale del Mulino Bianco ci piace sempre di più, soprattutto adesso che inizia a parlare di agricoltori, di origine delle materie prime e non solo di preparazione e cottura (qui alcune note sulla nuova campagna). Rubando un verso a Lawrence Ferlinghetti, tra melliflui manifesti pubblicitari che illustrano imbecilli illusioni di felicità1 o imbecilli illusioni di morte, preferiamo nettamente… la felicità. 

1- Lawrence Ferlinghetti | A Coney Island of the mind, 1955

 


Iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti:

© Riproduzione riservata

FOCUS ON AGRIFOOD è un blog a cura di Aurelio Bauckneht.

FOCUS ON AGRIFOOD non può garantire in alcun modo la validità delle informazioni pubblicate e declina ogni responsabilità sull’applicazione delle indicazioni ivi contenute e sulla loro interpretazione.

Lascia un commento