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L’economia delle esperienze secondo Slowmedia (parte 2 di 3)

In questo post:

Economia delle esperienze | Pine&Gilmore | Customer experience | Customer journey | User experience design | Slowmedia 

Tempo di lettura: 10′ | A cura di Aurelio Bauckneht


Oggi abbiamo il piacere di ospitare Marco Anderle di Slowmedia, marketer specializzato nella progettazione di customer experience e customer journey. Con Marco proseguiamo le riflessioni iniziate qui: L’economia delle esperienze nel mercato agrifood (1/3).

Marco, perché un’azienda dovrebbe tenere in alta considerazione l’economia dell’esperienza e l’analisi del “viaggio del cliente”?

Marco Anderle, titolare di Slowmedia
Marco Anderle, titolare di Slowmedia

Senza progettare metodicamente la relazione con i clienti, le aziende non riusciranno a massimizzare la fidelizzazione, il fatturato per cliente, l’acquisizione di nuove quote di mercato. Oggi, più che mai. Dalle prime teorizzazioni del ‘98  (Welcome to the Experience Economy, B.J. Pine II, J. H. Gilmore. Harvard Business Review. Luglio-Agosto 1998), i concetti di prodotto e servizio sono sfociati nel dominio più emotivo e relazionale dell’esperienza. Il cliente non acquista più soltanto merci o prestazioni, ma l’intero ecosistema relazionale di vantaggi e gratificazioni che la nostra azienda sa proporgli nel quotidiano sforzo di distinguersi dalla concorrenza. Progettare e gestire le relazioni, sotto il paradigma dell’esperienza, è la nuova sfida. Che il nostro cliente sia un’azienda o un consumatore finale, la relazione si svolge sempre tra persone, attraverso una somma di interazioni. Dalla vendita, alla fornitura del prodotto o all’erogazione del servizio, non c’è passaggio di contenuto tra noi e i nostri interlocutori che non sia affidato al veicolo di un’interazione. Contenuto e interazione si fondono nella qualità percepita dal cliente, contribuendo a decretare le sue scelte . Concentrarsi sulla singola interazione è rischioso. Pensiamo al cliente come ad un ospite in casa nostra; con un salotto ben progettato faremo bella figura, ma con uno scomodo e sgradevole corridoio creeremo un disagio in entrata e in uscita; questo potrebbe compromettere la sua esperienza. Per questo la realizzazione della casa si fonda anzitutto su una progettazione d’insieme, dagli studi del terreno, alle planimetrie generali. Allo stesso modo, per costruire una relazione efficace in termini esperienziali serve utilizzare un metodo di progettazione preliminare di tutte le interazioni, entro un quadro globale, per garantire coerenza e impatto complessivi. Solo così il nostro interlocutore, che percepisce e valuta la relazione nel suo complesso, deciderà di sceglierci ancora.

Quali sono i fenomeni che possono influenzare la progettazione dell’esperienza?

Se la relazione è il campo di gioco dell’esperienza, la progettazione dell’esperienza (user experience design) è l’ambito metodologico a cui affidarsi, specie in un’epoca caratterizzata dalla fusione sempre più sfidante tra offline e online (omnicanalità). Fenomeni economici, sociali e culturali, tra cui la globalizzazione e la digitalizzazione, hanno reso più articolate le relazioni, portandole su una pluralità di canali. La nuova centralità del paradigma esperienziale è radicata in cambiamenti storici e interessa tanto il consumatore (relazioni B2C) quanto il cliente aziendale (relazioni B2B), entrambi abitanti del mondo e persone del proprio tempo. Guerre, boom economico, post-materialismo, glocalizzazione, tecnologie di informazione e comunicazione esemplificano un percorso storico di cambiamenti nella vita collettiva e nell’economia, giunto allo scenario odierno. Per le aziende capaci di progettare, questo contesto variegato non è più un ostacolo da superare, ma un terreno dove trovare leve per distinguersi e acquisire vantaggio competitivo.

Come si articolano le vostre attività di consulenza?

Se per progettare una casa importante si chiamano architetti, ingegneri e specialisti edili, per progettare adeguatamente interazioni o intere relazioni, ci si affida ai progettisti di experience. Si tratta di professionisti che operano in team, unendo competenze di marketing strategico, sociologia, ricerca qualitativa, design dei servizi, analisi d’impatto, progettazione delle interazioni, realizzazione delle interfacce, fisiche o digitali. Le definizioni inglesi di questi ruoli non si contano, da ux designer a funnel analyst. Spuntano come funghi e gli esperti consigliano di ignorare le mode, badando alla sostanza . Questa, viene dal metodo.

Lo staff di Slowmedia

Senza un metodo consolidato di progettazione, forte di casi di successo alle spalle, si mina il risultato dell’experience. Nello studio Slowmedia di Verona, dove lavoriamo, abbiamo integrato le migliori tecniche di progettazione in un approccio completo, il metodo ciclico “KDP”. Per introdurre come si progetta, scorriamo sinteticamente le fasi del metodo cercando di non tediare il lettore con un dettaglio eccessivo e mantenere uno stile divulgativo. Abbiamo applicato il metodo ad aziende clienti, dal food, all’industria meccanica, come a nostre startup. Tra quest’ultime, spicca Municipium, un’esperienza digitale consolidata su 500 Enti clienti, per un totale di circa 2 milioni di utenti finali in visita mensilmente sulla piattaforma.

Il metodo KDP parte con il sondaggio del terreno, attraverso la creazione condivisa di un cruscotto di informazioni strategiche (la marketing strategy dashboard). Il cruscotto inquadra lo scenario in cui l’experience deve produrre risultato e, una volta realizzato, resterà aggiornato in tempo reale. Come il quadro di un’automobile, ci aiuta a guidare. Con cognizione di causa. Nel cruscotto si utilizzano schemi per sintetizzare il modello di business, la proposta di valore distintiva dell’azienda, la filiera d’azione, il contesto competitivo e le sue esperienze di riferimento. Tra gli strumenti di questa fase: business model canvas e UVP canvas, analisi dei valori di brand, analisi ambientali e di filiera, analisi dei dossier di ricerca quantitativa, analisi del target e sua segmentazione, analisi competitor, analisi dell’offerta, delle unique selling proposition e dei cicli di vita dei prodotti, analisi dei canali distributivi e di quelli promozionali etc.

Senza un terreno chiaro, attualizzato nella sua configurazione, solido, non sapremmo dove stiamo costruendo la casa. Non strutturare adeguatamente questa fase, vorrebbe dire sottostimare il profondo legame fra l’experience da realizzare e lo scenario strategico entro il quale la stessa experience deve prosperare.

Sondato il terreno, possiamo calarci nella progettazione dell’experience attraverso la sua fase più cruciale, ovvero la ricerca sugli utenti. Clienti, agenti, distributori, retailer, dipendenti, a seconda dell’experience da realizzare nel sistema di relazioni dell’azienda, l’utente può essere uno stakeholder tra molti. Dell’utente dobbiamo conoscere i problemi, le aspettative, il vissuto, il modo di pensare, non attraverso nostre ipotesi, troppo spesso arroganti e poco aggiornate, ma per voce delle sue parole, del suo sentire. Progettare senza avere analiticamente appurato la matrice di variabili che muove il comportamento dei soggetti destinatari di un’experience è come guidare in formula uno bendati, senza mani sul volante. L’intuito potrebbe aiutarci a restare in pista e persino a non sbandare, ma poco conta, perché la gara finale verrà vinta dai concorrenti con gli occhi liberi e ben aperti. Come si fa ricerca sugli utenti? La user research, come viene definita, si svolge costruendo un mix di tecniche di indagine qualitativa adeguate al contesto strategico d’azione. Le tecniche sono ereditate dalle scienze sociali, alcune sono state rielaborate dai designer per l’uso in rapidi processi di progettazione. Dalle più tradizionali interviste in-depth, ai focus group, fino all’osservazione partecipante, si arriva ad esempi di tecniche che uniscono tradizione e contemporaneità, come l’etnografia digitale e mobile, il research safari, lo shadowing, per citarne alcune. All’indagine, segue l’analisi del corpus di ricerca, come le content analysis e l’analisi semiotica, o la più profonda e delicata thematic analysis, in grado di far trasparire i fattori più sorprendenti, come le nuove motivazioni d’acquisto o le latenti modalità d’uso di un prodotto e servizio, per metterli in relazione fra loro.

Lo scenario strategico e la ricerca producono l’asset più importante su cui basare ogni progettazione, anzi, ogni business. La conoscenza. Ecco spiegata la prima lettera nel metodo KDP, la “K” della conoscenza (knowledge).

Dal patrimonio conoscitivo iniziale si passa alla progettazione in senso più stretto, rappresentata nel metodo KDP dalla “D” di design. In questa fase, progettiamo il quadro schematico globale di tutte le interazioni che compongono la relazione. La prima prospettiva con cui lo esaminiamo è quella della persona destinataria della relazione. L’utente vive la relazione come viaggio (journey) lungo momenti, passaggi, punti di contatto con l’azienda (touchpoint). Lo schema di progettazione del journey è una rappresentazione del processo temporale attraversato dall’utente, nel quale si avvicendano colonne a rappresentare macro fasi e touchpoint della relazione, corredati da informazioni qualitative e tecniche, sia per gli aspetti “frontali” della relazione, fra azienda e utente, sia per gli aspetti interni e strutturali . Se l’utente è il cliente finale, si parla di customer journey, se si tratta di un dipendente, si parla di employee journey. E così via. La progettazione dei journey viene rafforzata da diversi altri strumenti di design, come gli schemi necessari a inquadrare gli ecosistemi di persone (stakeholder map), ai quali si aggiungono gli strumenti tecnologici e fisici (ecosystem map), infine gli scambi di valore (value network map). Un altro strumento ormai classico sono le personas: tipizzazioni qualitative, meglio se emergenti da user research, che avvicinano e allineano la progettazione ai profili individuali ed emotivi dei destinatari dell’experience.

Il metodo procede entrando nelle singole interazioni, progettando i canali che le agevoleranno, ottimizzando i touchpoint esistenti e/o costruendo quelli nuovi ideati nelle fasi precedenti. Qui, entra in gioco la user experience applicata, dall’architettura delle informazioni, al mapping dei flussi interattivi, fino alla realizzazione e allo sviluppo delle interfacce (user interface o UI). Questa fase, che sintetizziamo nella sigla UX-UI, è ampia e approfondita, specie se da uno scenario complesso si vogliono realizzare touchpoint esperienziali semplici, innovativi o addirittura rivoluzionari (disruptive experience). Da questa fase prendono forma, inizialmente come prototipi: app, siti, portali, stand fisici, negozi interi, artefatti misti o phygital, oggetti connessi (Internet of Things) e così via, dalle interazioni più semplici e monocanale, a quelle più sofisticate e multicanale.

Ma non basta aver realizzato l’experience nella sua prima forma tangibile per ritenerla completata e funzionante. Molte aziende sbagliano, travisando questo traguardo come il climax del design di esperienze e touchpoint. Nulla di più fuorviante. Il successo non vive nell’oggetto realizzato, al più in forma prototipale, ma nei suoi effetti. L’experience è un oggetto evolvente che necessita per natura di affinamento, passando dalla misurazione, dal monitoraggio e dalla comprensione dei risultati che, in corsa, produce. Ecco perché completiamo il metodo KDP con la “P” di performance. Introduciamo a questo stadio attività e analisi approfondite sugli indicatori di performance (KPI o key performance indicator), sulle metriche business (di tipo triple-A), sui flussi di conversione (funnel) con i loro obiettivi sequenziali (conversioni) fino all’esito caratterizzante (goal), sui data analytics sia quantitativi, come le statistiche d’utilizzo di un’app o gli esiti dei test di gradimento (ad esempio di tipo A/B), sia ibridi, come le mappe di calore su una pagina web. Altra user research qualitativa può essere integrata nella fase di performance, per rafforzare l’analisi qualitativa degli impatti dell’experience realizzata.

L’approccio strutturato alle performance offre lezioni preziose che i progettisti e l’azienda devono interpretare rapidamente, per introdurre il loro output in nuova conoscenza (K), così da avviare un altro ciclo evolutivo di progettazione (D), finalizzato a rendere l’experience sempre più affinata e performante (P). Ecco perché parliamo di approccio ciclico alla base del successo della progettazione . Per questo la progettazione “chiavi in mano” non ha più alcuna efficacia, ma è maturata in “servizio continuativo al fianco dell’impresa”. La progettazione così evoluta, in particolare nelle sue fasi strategiche e di governo delle performance, è la sola in grado di mettere al sicuro il vantaggio competitivo che l’azienda deriva dalle proprie relazioni strategiche e dalle experience che attribuiscono loro nuovo valore.

Il cosiddetto user experience design è alla portata di ogni azienda?

Sì. Il design si fonda su valori, come la co-progettazione e la visione olistica delle esperienze, capaci di coinvolgere attivamente tutti gli stakeholder, se accompagnati dalla regia di progettisti capaci. Le nuove aziende nascono intrise di questa capacità di progettazione. Specie le startup, che non possono fare altrimenti per affacciarsi ai mercati d’oggi. Le aziende storiche con il dna da innovatori fanno già largo uso di queste tecniche, fondando anche su queste il proprio successo. Ancora troppe realtà, però, si attardano a comprendere il valore della progettazione, adagiate su vantaggi competitivi ereditati dal passato o da strategie aziendali straordinarie (barriere all’ingresso, acquisizioni o altre operazioni di concentrazione ecc). Il rischio, in questi casi, è di esporre il business a un deterioramento. Questa esposizione può essere graduale o traumatica. Lo decide la storia. Talvolta si viene superati da concorrenti che hanno compreso prima la necessità di innovare, progettando meglio touchpoint esperienziali. Altre volte, è il mondo stesso che ci travolge, a prescindere dal settore di appartenenza. Dalla bolla del 2000, al collasso del 2008, fino alla crisi sanitaria in corso del Coronavirus, sappiamo che le persone e i mercati cambiano. Abbiamo visto banche, aziende, intere nazioni crollare. Nessuno è eternamente invincibile, se non evolve. Per questo, rispondere ai cambiamenti delle persone e delle loro relazioni, facendo propria la cultura di progettazione delle esperienze, è una risorsa strategica, che consigliamo caldamente di sviluppare.

Grazie Marco,  è stato un approfondimento molto interessante. Non ci resta che augurare una buona experience a tutti! Ritorneremo a breve su questi argomenti con un ulteriore contributo, in compagna di Gaia Passamonti di Pensiero visibile. Per non perdere i prossimi appuntamenti, lasciate la vostra mail qui sotto…

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