L’economia delle esperienze secondo Pensiero visibile (parte 3 di 3)
In questo post:
Economia delle esperienze | Pine&Gilmore | Customer experience | Customer journey | User experience design | Pensiero visibile
Tempo di lettura: 10′ | A cura di Aurelio Bauckneht
Continuiamo le nostre chiacchierate sulla customer experience in compagnia di una nostra cara amica, Gaia Passamonti, titolare dell’agenzia Pensiero visibile. Leggi qui le puntate precedenti:
Parte 1 – L’economia delle esperienze nel mercato agrifood
Parte 2 – L’economia delle esperienze secondo Slowmedia
Cara Gaia, è un piacere averti con noi per questo veloce confronto. Permettimi di iniziare questa intervista con un aneddoto personale; abbiamo organizzato in pieno lockdown il compleanno di nostra figlia (2 anni) con modalità decisamente anomale: abbiamo ordinato il regalo non da Amazon, ma da un e-commerce di prossimità (negozio di giocattoli di quartiere) e per la torta ci siamo rivolti ad una pasticceria che si è organizzata con un efficiente servizio di consegna a domicilio. La rituale canzoncina di tanti auguri è stata intonata con i nonni e gli zii collegati tramite Zoom. Probabilmente, in tutto questo, molti si chiederanno che senso ha parlare di esperienze… Chiaramente in famiglia avevamo bisogno di servizi logistici efficienti e non di “fuffa”. Eppure lasciami dire che insieme alla torta, sapientemente confezionata, abbiamo ricevuto una lettera di accompagnamento con un ringraziamento originale e toccante. Posso garantirti che anche questa è stata una “experience” inaspettata. Una semplice lettera che ci ha fatto emozionare e che ci ha aiutato a comprendere meglio il lavoro che si nascondeva dietro quel condensato calorie e dolcezza. Neanche dirlo, la torta era eccezionale. Viceversa l’esperienza di acquisto del regalo è risultata essere fredda e impersonale, per quanto comodissima. Prodotto ed esperienza dovrebbero sempre essere due facce della stessa medaglia, oppure no?

Credo che come in tantissime altre discipline che ormai hanno raggiunto un grande livello di sofisticazione, anche nel marketing e nella comunicazione si sia fatto negli ultimi anni l’errore di pensare che ciò che progettiamo sia un esperimento in vitro staccato dalla realtà della nostra vita quotidiana. I modi e le azioni con cui comunichiamo o vendiamo e compriamo un prodotto sono qualcosa che esisteva prima delle leggi e degli esperti, ma che hanno a che fare con il modo in cui un essere umano sta nel mondo e intesse relazioni con i suoi simili. In questo senso, prodotto ed esperienza del prodotto sono correlati da sempre, nella misura in cui creano spontaneamente una relazione tra persone. Che poi una parte del marketing – complice la necessità di governare uno scenario più complesso dopo l’introduzione del campo di esperienze digitale – si sia focalizzata in questi ultimi anni sulla customer experience la trovo senz’altro una cosa positiva, come segnale di una rimessa al centro dei pubblici invece che dell’azienda. Ma come racconti bene nel tuo aneddoto l’esperienza del cliente esiste anche senza il marketing, e nasce dal desiderio spontaneo delle persone di prestare attenzione ai bisogni dei loro simili, non dai manuali. L’emergenza che stiamo vivendo ha senz’altro amplificato queste dinamiche riportando il gioco su un tavolo più umano e vicino alla realtà.
Di sicuro nel 2020 pensare di comunicare e vendere un prodotto o un servizio senza tenere conto dell’esperienza che si genera intorno ad esso sarebbe davvero insensato.
Credi che queste considerazioni debbano rimanere confinate nei confini del marketing o possiamo ipotizzare delle prospettive di più ampio respiro? Forse una mutazione del nostro immaginario o dei nostri bisogni?
Come dicevo prima, credo che non siamo tanto di fronte a una mutazione quanto a una riscoperta di quelli che sono i nostri bisogni come persone. Tutti i servizi nati durante l’emergenza Covid sono orientati a soddisfare il desiderio che è da sempre essenziale per gli esseri umani dopo quelli necessari alla sussistenza: stare insieme e condividere esperienze, anche se attraverso gli schermi. Mai come ora ascoltiamo o raccontiamo tante storie, su di noi, quello che ci sta succedendo, quello che è successo in passato, cercando di dare un senso agli avvenimenti che viviamo, come gli esseri umani hanno sempre fatto da quando sono su questo pianeta. Ecco, le aziende che riescono a creare con i prodotti esperienze che si inseriscono in modo autentico in questo flusso di bisogni, che siano una multinazionale o la pasticceria del quartiere, vincono tutto.
Proviamo a rubare una metafora al mondo dell’enologia. Immagina di condividere una bottiglia importante con vari commensali; alcuni di questi stanno bevendo solo il brand, altri invece sono più attenti al vino, altri ancora lo stanno bevendo in maniera più articolata miscelando il brand e il prodotto, il territorio e gli altri contenuti dell’etichetta. Credi che la cultura dell’experience possa aiutare le aziende a presentare e i consumatori a vivere il prodotto con modalità più profonde e articolate? E chi ne beneficerà maggiormente, l’azienda o il cliente?
Progettare la comunicazione partendo dalla user experience non è più un’opzione, ma l’unica modalità possibile, tanto più dopo l’emergenza che stiamo vivendo. Le aziende non possono più comunicare i prodotti costruendovi sopra vantaggi commerciali, perché le persone hanno da tempo perso interesse per quel tipo di aggancio. Partire dallo studio dell’esperienza, unita magari a un’osservazione etnografica, mi permette invece di ottenere insight autentici per entrare davvero in contatto con la vita delle persone, e di farlo nel modo giusto su ogni canale. In questo modo il beneficio è senz’altro duplice: per i clienti, che entrano in contatto con il brand dove e quando li può supportare nel loro quotidiano, e per l’azienda, che diventa davvero rilevante per loro. Certo, questo significa mettersi davvero dal punto di vista del cliente, accettando anche che i miei prodotti possono non essere perfetti e che ci saranno persone a cui non piacciono, e questo è un passaggio spesso ancora molto difficile per le aziende. Ma chi non entra in questa logica rischia di rimanere davvero indietro.
Come può l’etnografia digitale supportare le aziende nella comprensione di questa fase storica e nella progettazione del prossimo futuro?
Se l’ascolto e l’osservazione dei clienti, dei loro comportamenti e delle loro abitudini, è essenziale per progettare una customer experience soddisfacente e una comunicazione che arrivi davvero alle persone, l’etnografia è uno strumento utilissimo per compiere questa osservazione soprattutto in questo momento storico in cui è diventato chiaro che le rilevazioni quantitative non sono in grado da sole di rendere comprensibile la realtà. Attraverso lo studio dei comportamenti delle persone e delle comunità online si possono infatti ricavare insights autentici ed estremamente interessanti, che integrano i dati quantitativi rendendoli umani e guidandone la corretta interpretazione.
Com’è possibile avvicinare le esperienze fisiche e le esperienze digitali?
Come dice il filosofo della tecnologia Luciano Floridi, nella nostra società non esiste più uno stacco tra online e offline, ma viviamo in un flusso che passa costantemente dall’uno all’altro nel cosiddetto “onlife”. È una situazione di cui facciamo continuamente esperienza nella nostra vita quotidiana, anche solo cucinando o giocando con i nostri bambini, quando iniziamo a fare una cosa nel mondo fisico e poi la proseguiamo online per riportarla infine di nuovo nel mondo fisico. Più che avvicinare le esperienze dunque, si tratta di osservare con attenzione come le persone si muovono attraverso di esse, ed è ciò che fanno scienze ormai indispensabili come quelle che studiano la user experience e il customer journey, individuando così gli scenari e touchpoints reali nei quali le persone entrano in contatto con le aziende e i loro prodotti. Credo che uno studio di questo tipo sia ormai imprescindibile da qualsiasi progetto di comunicazione.
Qual è il focus di Pensiero visibile?
Dalla sua nascita nel 2013 il focus di Pensiero visibile non è mai cambiato, ed è quello di utilizzare la cultura umanistica insieme alla tecnologia, per creare progetti di comunicazione che siano davvero pensati per gli esseri umani.
Gaia di Pensiero visibile, grazie mille per il tuo contributo “umanista”. Tanti auguri per una buona ripresa e torna a trovarci quando vuoi. Alla prossima!