Comunicare i plus di prodotto sull’etichetta di un packaging alimentare

In questo post:

Un principio di carattere generale nel rispetto del consumatore | Cosa scrivere e cosa non scrivere sull’etichetta del packaging alimentare | I veri e i finti plus di prodotto | OGM e NON OGM | Regolamento UE 1169/2011

Tempo di lettura: 5′


L’etichetta di un prodotto alimentare deve rispettare specifiche normative che differiscono da paese a paese. La realizzazione di un packaging capace di soddisfare contemporaneamente i dettami di due, tre o più Stati comporta numerose complicazioni che vanno ben al di là del posizionamento di prodotto, della comunicazione dell’identità aziendale e delle altre scelte di carattere meramente creativo. La normativa di riferimento dell’Unione Europea differisce, ad esempio, in maniera sostanziale da quella degli Stati Uniti o da quella del Canada.

Premesso che è assolutamente necessario conoscere in maniera approfondita le normative (segnaliamo in primis il regolamento UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori entrato in vigore il 14/12/2014 in sostituzione di norme precedenti come la 79/112/CEE), e che è consigliabile avvalersi del supporto di partner qualificati per la verifica dei contenuti inseriti in etichetta, in questo articolo illustreremo un principio di carattere generale, trasversale alle indicazioni dei legislatori dei vari Paesi, che aiuta a mettersi al riparo da eventuali contestazioni, almeno per quanto riguarda la comunicazione dei plus di prodotto. Nei regolamenti non mancano infatti le aree grigie, le ambiguità, le differenze macroscopiche tra un regolamento di uno Stato e l’altro, e non ultime le prassi utilizzate abitualmente dai vari attori del mercato che spesso determinano degli orientamenti accettati de facto. 

I regolamenti di riferimento nascono con un triplice obiettivo:
– tutelare il consumatore dalla comunicazione ingannevole per favorire scelte di acquisto pienamente consapevoli
– comunicare efficacemente le proprietà nutritive dell’alimento
– codificare le modalità di comunicazione e valorizzazione dei plus di prodotto

“Per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, è opportuno garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano. Le scelte dei consumatori possono essere influenzate, tra l’altro, da considerazioni di natura sanitaria, economica, ambientale, sociale ed etica.”

Tratto dal Regolamento UE N. 1169/2011

Le modalità di comunicazione dei plus di prodotto sono – correttamente – limitate e vincolanti, ma i dubbi su cosa si può effettivamente dire sul packaging e su cosa non si può, abbondano. Purtroppo nel dedalo di paletti definiti dal legislatore la chiarezza non brilla, né ci si può aspettare che un regolamento possa esaurire la complessità e la ricchezza di contenuti che caratterizzano un mercato come quello dell’agroalimentare italiano. Posto che la comunicazione deve essere veritiera e orientata verso il massimo livello di chiarezza ed etica, il seguente principio di carattere generale può venirci in aiuto per dirimere una problematica rilevante: in sintesi cosa è realmente un plus di prodotto. 

Attenzione alla seguente affermazione: è possibile comunicare esclusivamente plus che conferiscono al prodotto un indubbio valore aggiunto – di carattere esclusivo – per il consumatore.

Facciamo un esempio paradossale ma chiarificatore:

Formaggio– un produttore caseario italiano vuole inserire sulla confezione di una sua produzione la dichiarazione “da latte di vacche rosse alimentate con materie prime non radioattive”.

L’asserzione è vera? Sì, certamente.

E’ un valore aggiunto per il consumatore? Sì, certamente, chi vorrebbe mangiare mozzarelle realizzate con latte radioattivo?

Secondo la normativa europea di riferimento è possibile inserire una affermazione di questo tipo? Non è specificato in maniera esplicita, ma ovviamente questo plus non può essere accettato e presta il fianco ad eventuali contestazioni.

Perché non è possibile? Perché viola il principio di esclusività. Questo valore aggiunto è comune a tutti i prodotti della categoria e, quindi, è condiviso da tutti i competitor. Se il produttore fosse l’unico – o uno dei pochi – a fare mozzarelle non radioattive, potrebbe inserire il claim “da latte di vacche rosse alimentate con materie prime non radioattive”.

L’esempio è ovviamente paradossale. Ma proviamo ad estendere il principio alla comunicazione del plus di prodotto “non ogm”. E’ possibile inserire nell’etichetta l’affermazione “prodotta con latte di vacche rosse alimentate con materie prime non ogm”?

L’asserzione è vera? Ipotizziamo di sì; l’allevamento è certificato e utilizza solo mangimi non ogm.

E’ un valore aggiunto per il consumatore? Nell’immaginario collettivo lo è sicuramente, anche se le evidenze scientifiche non sono chiare al riguardo.

Secondo la normativa europea di riferimento è possibile inserire una affermazione di questo tipo? Anche in questo caso il tema non viene affrontato in maniera esplicita, ma essendo un valore aggiunto adottato ad un numero ridotto di operatori, a nostro parere è possibile inserire nelle etichette per il mercato europeo un plus di questo tipo, distintivo rispetto alla concorrenza. Auspicabile, per non dire necessaria, una certificazione di tracciabilità sulla qualità e sulla provenienza dei mangimi.

Per esplicitare ulteriormente il principio, prendiamo ad esempio il caso di un produttore di biscotti realizzati con farina di grano tenero. Il produttore desidera indicare sulla confezione il seguente plus di prodotto: “realizzato con farina di grano tenero rigorosamente non ogm.”

L’asserzione è vera? Sì, certamente.

E’ un valore aggiunto per il consumatore? Sì, certamente.

Secondo la normativa europea di riferimento è possibile inserire una affermazione di questo tipo? Ad oggi non esistono in commercio varietà di frumento ogm. Tutte le produzioni a base grano sono giocoforza non ogm. Pertanto venendo meno il principio di esclusività, essendo un plus comune a tutti i produttori, è decisamente sconsigliabile inserire in etichetta una comunicazione di questo tipo che darebbe al consumatore la suggestione di un valore aggiunto differenziante rispetto ai prodotti competitor, cosa in realtà falsa.

Berlin Natural Bakery
Pane di farro con adesivo NON GMO PROJECT prodotto dall’azienda Berlin Natural Bakery – Ohio | Stati Uniti

Questo vale per il mercato europeo, ma ad esempio negli Stati Uniti? Siamo sicuri che l’Ente preposto (FDA) condividerebbe il principio generale esposto in questo articolo, ma allo stesso tempo dobbiamo calarci nella cultura locale e nelle prassi messe in atto dai vari competitor. E’ evidente che il plus è più rilevante nel mercato statunitense rispetto a quello europeo, come è evidente che è abitudine generale indicare il plus di prodotto “non ogm” anche sui prodotti a base grano. In una situazione di questo tipo, il nostro suggerimento è quello di chiedere una autorizzazione esplicita all’Ente, sapendo che con tutta probabilità verrà accolta.

Nelle prossime puntate svilupperemo ulteriormente questa tematica, analizzando in dettaglio la questione della territorialità, particolarmente spinosa. Ad esempio, è possibile comunicare l’italianità con un semplice tricolore inserito nel layout del pack se parte delle materie prime provengono dall’estero? Le produzioni caratterizzate a livello regionale o comunale (basti pensare all’enorme ricettario della tradizione italiana, con le numerosissime varianti locali e specificità di territori particolari) possono dichiarare l’origine del territorio?

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